Perché il cuore delle donne è più a rischio

Chi ha detto che l’infarto è una malattia tipicamente maschile? Il sesso femminile non ne è affatto immune, anzi.

L’infarto? Il 68% della popolazione femminile pensa che si tratti di una “prerogativa” maschile (dati Centro Cardiologico Monzino di Milano). E, invece, non è affatto così: in Italia, ogni cinque minuti una donna è vittima proprio di un infarto o di un’altra patologia cardiovascolare. Se in età fertile le donne sono abbastanza protette, dopo la menopausa hanno un rischio più elevato degli uomini di sviluppare disturbi al cuore. E spesso, in forma più grave. A dirlo, ancora una volta, i numeri: le malattie cardiovascolari sono la prima causa di mortalità per le donne dopo i 50 anni, superando di gran lunga tutte le forme di tumori, incluso il tanto temuto cancro al seno.

Ma per quali ragioni le donne hanno un cuore così fragile? Innanzitutto, perché i fattori di rischio classici per le malattie cardiovascolari (ipertensione, diabete, colesterolo alto, familiarità, sindrome metabolica, fumo, dieta scorretta, sedentarietà) non hanno gli stessi effetti nei due sessi. Per esempio, la pressione alta sembrerebbe più nociva nelle donne, così come il fumo, tanto che una donna che fuma 10 sigarette è paragonabile, per effetti su cuore e arterie, a un uomo che ne fuma 30.

La seconda ragione è che esistono anche fattori di rischio esclusivamente femminili. «Si tratta di alcune patologie di pertinenza ginecologica, endocrinologica, immunologica e oncologica che, se non riconosciute come tali e tenute sotto controllo, dopo la menopausa possono favorire l’insorgenza di malattie cardiovascolari» chiarisce la dottoressa Daniela Trabattoni, cardiologa e Responsabile del Centro Monzino Women, il primo centro italiano dedicato interamente alla prevenzione e cura del cuore femminile. Le principali? Pluriabortività spontanea, parti prematuri, ovaio policistico, tiroidopatie, malattie come artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico, radio e chemioterapia per il tumore del seno.

Anche l’aspetto psicologico concorre nella definizione del rischio cardiovascolare nel mondo femminile. Diversi studi indicano che stress, ansia e depressione non rappresentano un pericolo uguale nei due sessi. «Nelle donne, in condizioni di stress prolungato, le coronarie, invece di dilatarsi e consentire un maggiore afflusso di sangue al cuore, si restringono, ostacolando il flusso sanguigno e traducendosi in ischemia o infarto miocardico in assenza di placche aterosclerotiche: è la sindrome di Takotsubo, più nota come sindrome del cuore infranto», spiega l’esperta. Mai sottovalutare, dunque, disturbi del tono dell’umore e psicologici, così comuni nelle donne, a maggior ragione in epoca di Covid-19. Una forte emozione, un dolore lacerante, un lutto, un grande spavento: sono tutti elementi che portano il loro cuore a soffrire.

QUANDO FARSI CONTROLLARE?
Quelle appena elencate sono spie molto importanti in ottica di prevenzione: infatti, segnalano che il cuore ha bisogno di qualche attenzione in più prima che il danno sia troppo grande. «Una donna che presenta uno o più di questi fattori di rischio e magari fuma, è in sovrappeso, ha familiarità per malattie cardiache, si muove poco e/o mangia male non dovrebbe aspettare di avere sintomi: meglio che si sottoponga a un controllo anche se sta bene, così da identificare il suo profilo di rischio cardiaco individuale» consiglia la cardiologa. In questo modo può capire se e quali abitudini deve modificare per proteggere il suo cuore. La casistica del Monzino Women conferma la validità dello screening precoce: delle oltre 700 donne sane che si sono rivolte al centro per un controllo, il 25% ha scoperto di avere un profilo di rischio elevato, tale da rendere necessario ricorrere a una terapia o a correzioni dello stile di vita.

MAI ASPETTARE TROPPO
Purtroppo, però, le donne sono restie a rivolgersi al medico. Non solo non lo fanno quando stanno apparentemente bene, ma nemmeno quando stanno male: un po’ perché pensano di essere più protette rispetto agli uomini, un po’ perché abituate a sopportare i vari malesseri e acciacchi, un po’ perché più propense a prendersi cura degli altri che di loro stesse, spesso, tendono a chiedere aiuto solo quando la situazione è già seria (e purtroppo la pandemia di Covid-19 sta aggravando le cose). Anche per questo, stando alle statistiche, nell’anno successivo al primo infarto il 35% delle donne subisce un altro attacco cardiaco e il 38% perde la vita, mentre nell’uomo queste percentuali sono decisamente più basse, rispettivamente pari al 18% e al 25%. «Se si agisce entro sei ore dalla comparsa dei sintomi di infarto, le probabilità di recupero sono buone. Superata questa soglia, il danno al muscolo cardiaco risulta più esteso e irreversibile, con aumentate complicanze aritmiche ed esiti peggiori» racconta Trabattoni.

I CAMPANELLI D’ALLARME
Ma quali sono i primi segnali? Non solo quelli classici, come dolore al petto e al braccio. Nel sesso femminile, i sintomi di un evento cardiaco acuto possono essere anche più sfumati e meno caratteristici. Ecco i principali:
-stanchezza e affaticamento che non passano nemmeno a riposo;
-un malessere generale inspiegabile,
-la sensazione di avere un peso sullo stomaco, magari in associazione a nausea;
-un dolore che si irradia a schiena, collo, mandibola;
-sudorazione algida;
-affanno e fiato corto a riposo.

 Il cuore femminile è più svantaggiato anche dal punto di vista delle cure. È un dato di fatto che la stragrande maggioranza degli studi sui farmaci è stata condotta sugli uomini. «Ma, come abbiamo in parte visto, le donne non sono uguali agli uomini: hanno fattori di rischio diversi, un peso e un indice di massa corporea tendenzialmente inferiori, coronarie più sottili e tortuose, solo per citare alcune divergenze», afferma l’esperta.

Varie ricerche documentano, inoltre, differenze sostanziali nella posologia dei farmaci salvavita prescritti alle donne, che spesso sono sotto-trattate: per esempio, nel loro caso non vengono date le statine (i farmaci contro il colesterolo) a pieno dosaggio dopo un infarto per timore degli effetti collaterali e la convinzione che per loro basti meno principio attivo. Eppure le cure e gli strumenti terapeutici a disposizione sono tanti: farmaci, angioplastica coronarica, stent, bypass coronarico, il cosiddetto “ombrellino salvacuore” che impedisce che dal cuore partano coaguli diretti al cervello, defibrillatori impiantabili sottocutanei. Servono semplicemente più attenzione e consapevolezza, da parte di tutti.

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